Da grande voglio fare la “candande”…e io il calciatore!

calciatore e cantante
Sono tantissimi i giovani che darebbero questa risposta a chi gli chiedesse che sogno hanno nel cassetto; troppi, purtroppo.
Perché poi? Per essere apprezzati, ammirati, conosciuti, presi come esempio?
Per avere tanto denaro?
La tragica fine di due dei migliori attori degli ultimi anni, Heath Ledger, con la parte di Joker ne “Il cavaliere oscuro” e Philip Seymour Hoffman, capo stratega in “Hunger Games: La Ragazza di Fuoco”, sta li a dirci che nessuno diventa ricco senza faticare e, purtroppo, senza rinunciare a qualcosa, a volte anche troppo importante.
Allora, è per fare quello che ci piace?
Io credo di sì; che sia in particolare per fare quello che ci piace, e che ci pare; in definitiva, per una idea distorta del concetto di libertà.
Il mito di star della musica e del calcio piene di soldi e senza regole si è fatto strada, e parecchio, nelle fertili e influenzabili menti di tanti adolescenti.
Gente come George Best, Maradona e Balotelli, Jim Morrison, Vasco Rossi e Britney Spears, ci mette poco a diventare un punto di riferimento (verso cosa?) per tanti giovanissimi che già a tredici anni vorrebbero una vita a modo loro.
Peccato che per andare avanti servano conoscenza ed esperienza.
E così, mentre si è ancora in erba, si comincia a sognare successo e soldi a palate fantasticando, un giorno non lontano, di essere indipendenti.
Ma un po’ di cultura no, eh?
In alcuni talent show, di quelli che vanno per la maggiore in tv, ho vissuto la deprimente esperienza di ascoltare qualche giovane aspirante cantante mentre tentava di rendere ragione della propria passione.
Ho avuto l’impressione di trovarmi di fronte a dei trogloditi con una bellissima voce.
“…perché io…voglio emozionare…voglio trasmettere emozioni… voglio esprimere quello che sono, quello che ho dentro, le mie emozioni…quando canto mi emoziono… …quando vedo il pubblico che si emoziona…per me è emozionante essere qui…sono emozionato…”
Ma che miiiiiiiiinchia di scuola hai frequentato? A parte quella di canto, ovviamente.
Due parole in croce le sai mettere? E scrivere? Sei capace?
Gran parte del mondo giovanile, oggi, è affetto da un’ignoranza cronica di cui va quasi fiero e da un narcisismo che rasenta il patologico, dei quali troppo spesso è responsabile, diretto o indiretto, il mondo degli adulti.
Eppure i nostri genitori sono quelli cresciuti sentendosi dire “studia figlio, studia, che quando sarai grande…”, educati a vivere la vita, non a sognarla.
Adesso, invece, non ti chiedono più cosa vuoi fare da grande, ma qual è il tuo sogno, come se avere la normale possibilità di innamorarsi, sposarsi e avere dei figli, mantenerli col sacrificato e onesto lavoro di ogni giorno, educarli con la propria esperienza, ai propri principi, e poi invecchiare e morire in pace da comuni mortali, senza necrologi televisivi o sulle pagine dei giornali, fosse una cosa noiosa, una vita da inetti; mentre in altre parti del mondo la gente sogna, è il caso di dirlo, proprio questa normalità invisa a tanti nostri ragazzi.
Mia nonna sognava di invecchiare con mio nonno, invece di perderlo ancora giovane e restare sola con due figli piccoli.
Non c’era altro, allora, oltre una vita dura, i figli, le malattie.
Non rimpiango certo quei tempi; stiamo meglio oggi, indubbiamente.
Ma, santo cielo, perché sentirsi “come se si stesse fallendo la vita” se non si “sfonda”?
Questa penosa dichiarazione l’ho sentita più volte nei vari “x-factor” e “got-talent” in giro per il mondo.
Quando ero ragazzo se ti si chiudeva una porta provavi ad aprirne un’altra; oggi no, c’è il sogno.
E devi realizzarlo, magari trascurando anche cose importanti, o sei uno sfigato.
Sono stanco, e preoccupato per loro, di sentire ragazzini che non perdono un allenamento di calcio mentre fanno collezione di insufficienze a scuola con la scusa che “tanto, se divento un calciatore a che mi serve studiare italiano, o algebra?”
Qualcuno glielo ha detto che su diecimila che ci provano solo uno ce la fa?
E gli altri? Senza lavoro e senza cultura?
Mentre stranieri di colore diventano apprendisti dei vetrai di Murano che faticano a trovarne e
maestri calzolai sono costretti a tramandare l’arte agli stranieri , gli unici che desiderano impararla, abbiamo una pletora di genitori che mandano i figli a calciarsi negli stinchi sognando di aver messo al mondo l’erede di Balotelli, o a fare vocalizzi convinti di stare allevando una nuova Céline Dion, tanto che una delle professioni in crescita è proprio quella del maestro di canto.
Davvero siamo convinti che la realizzazione e la soddisfazione di una persona dipendono dal successo, dalla fama, dalla ricchezza?
Una cara amica, tempo addietro, mi raccontò un episodio accadutole al lavoro.
Una sera, ultima rimasta in ufficio all’ora di chiusura, si affaccia dal capo, e datore di lavoro, per salutarlo prima di tornare a casa.
“Sai – comincia lui quando la vede, come volendo liberarsi di un peso – la gente mi ammira e mi rispetta per quello che ho costruito dal nulla, perché ce l’ho fatta da solo. Ma – prosegue con rammarico – non ho una sola foto assieme a mio figlio da poter incorniciare e tenere sulla scrivania.”
Potrei raccontare di diversi casi simili: figli che ricevevano dai genitori tutto, meno ciò che desideravano davvero e genitori che davano ai figli tutto ciò che chiedevano, tranne ciò di cui avevano realmente bisogno: la semplice presenza di chi li ha messi al mondo.
So che non è facile essere genitori.
È un lavoro che richiede grande responsabilità, fatica, sacrificio, che impone delle scelte, spesso senza neanche essere sicuri del risultato.
Ma è un inutile spreco lasciare che siano gli anni a mostrarci quale sarebbe stata la scelta migliore; amare significa anche saper dire no, adesso.
Possiamo indicare ai nostri figli obbiettivi fasulli e artificiali come le luci degli studi televisivi che tanto agognano, oppure introdurli, accompagnandoli, alla vita,
quella vera, tutta intera, normale, fatta di cose semplici,
come una foto assieme a loro dentro una cornice.