Gli squali e il giaguaro

 

Chiarisco subito una cosa: non penso che sia il santo che vuole darci a bere.
Non mi è particolarmente simpatico, anche se in passato l’ho votato, e credo che ormai spacci demagogia a rotta di collo facendola passare per politica.
È un fatto, però, che non è mai esistito, nella storia della nostra repubblica, un politico più attaccato di Silvio Berlusconi.
Negli ultimi vent’anni, stranamente proprio a partire dalla sua “discesa in campo”, è stato imputato in più di trenta processi e oggetto delle attenzioni di oltre un migliaio di giudici che hanno indagato su di lui.
Neanche per Totò Riina si è arrivati a tanto.
Si era capito che dava fastidio, forse perché elemento imprevisto e anomalo all’interno del nuovo scenario di potere che cercava di consolidarsi dopo “mani pulite”, già nel 1994, quando il direttore del Corriere della sera, Paolo Mieli, pubblicò la notizia dell’avviso a comparire per Berlusconi nell’ambito della “inchiesta Telepiù”, proprio mentre presiedeva a Napoli una conferenza internazionale sulla criminalità: i cronisti avevano ottenuto una copia dell’avviso prima ancora che fosse notificato all’interessato, come spesso accade in Italia quando c’è qualcuno da demolire.
A quanto pare, da noi gli avvisi a comparire e quelli di garanzia sembrano spesso intesi come la garanzia che qualcuno, in qualche modo, magari attraverso i media, ci avviserà.
Più o meno in quegli stessi anni la Parmalat crea un buco di 14 milardi di euro (circa 28000 miliardi di lire), che Beppe Grillo denuncia in un suo spettacolo nel settembre 2002, ironizzando sulla “finanza creativa”.
Non si parlerà di crack finanziario se non oltre un anno dopo.
I primi anni 2000 vedono (o meglio, non lo vedono fino al 2011) lo svilupparsi di investimenti sbagliati che porteranno allo scandalo del Monte dei Paschi di Siena.
Sembra che queste operazioni finanziarie siano comuni nel mondo bancario e che vengano compiute anche dalle casse di previdenza.
Nel frattempo, la magistratura italiana continua a tenere impegnati uomini e mezzi per fermare il pericolo pubblico numero uno, l’italiano più pericoloso del peggiore dei capi mafia; accelera persino la chiusura della pratica che lo riguarda (che bello se lo facessero anche coi poveri cristi!) anche se non esiste il rischio di prescrizione, come accaduto per l’ultima sentenza.
Nel caso di criminali veri, invece, può accadere che il giudice non riesca, in quattro anni e mezzo, a scrivere le motivazioni della condanna, consentendo così ad un killer della ‘ndrangheta di tornare in libertà.
Come se non bastasse, il Cavaliere è riuscito a diventare il bersaglio anche dei suoi omologhi europei (argomento che meriterebbe un approfondimento a parte).
Non sto difendendo un uomo che ormai, a mio avviso, farebbe bene a spendere il tempo che gli rimane per prepararsi all’incontro col Creatore invece di inseguire gonnelle che fatica anche a sfilare.
Inoltre, viste le attuali condizioni del paese, puntare i piedi e bloccare la vita e il lavoro della politica per risolvere questioni personali, anche se si ha ragione, può avere conseguenze disastrose: un leader, se attaccato, dovrebbe essere disposto a farsi da parte se rischia di attirare il fuoco nemico su tutti quelli che lo seguono.
Ciò che trovo assurdo, però, è il modo in cui lo si è combattuto, senza posa, senza quartiere, neanche si chiamasse Cutolo o Morabito o Riina, e, guarda il caso, proprio da quando ha cominciato a fare politica.
Mentre altri, indisturbati forse perché non hanno mai mirato alla presidenza del consiglio, dissanguavano società e banche (cioè tutti quei piccoli risparmiatori che ci avevano investito il loro denaro) facendo i loro porci comodi finché non è stato troppo tardi, perché chi doveva controllare non lo ha fatto o ci ha impiegato troppo.

Se mi si chiedesse cosa penso di Berlusconi risponderei che è un manager di talento, un uomo con un grande carisma, uno che sa creare e mantenere amicizie, un motivatore eccezionale ma un politico miope e lontano dalla realtà della gente comune, quella che fatica ad arrivare a fine mese facendo quadrare il bilancio familiare.
E sono sicuro che abbia fatto quello che moltissimi imprenditori, in un paese come il nostro, arrivano a fare se vogliono non solo impedire alla loro azienda di affogare, ma addirittura farla crescere: compromessi, tanti compromessi.
Ma, al netto dei problemi riconducibili al suo privato, credo anche che sia stato, e sia tuttora, un perseguitato.