I politici non vengono da Marte

proteste“Ladri! Vi siete mangiati tutto!”
Alzi la mano chi non ha mai fantasticato di poter urlare queste cose in faccia a dei parlamentari.
O perlomeno, cercando più a portata di tiro, al sindaco o a un politico della propria città.
Ma, diciamoci la verità, è indubbio che con un onorevole ci sarebbe più gusto; parafrasando una nota pubblicità, strillare in faccia a un politico non ha prezzo.
Io andrei anche oltre: li costringerei a vivere per tutta la durata della legislatura con 1500 euro di stipendio, rimborsi delle spese realmente sostenute a parte, tanto per favorire un poco di empatia nei confronti di noi povericristi.
È giusto e sacrosanto protestare, criticare, pretendere un cambiamento vero, non solo di facciata, non solo sulla carta; la stessa sulla quale di giorno si scrivono articoli di legge che mettono paletti, di notte i commi che li vogliono distesi, anziché piantati saldamente a terra.
Cosicché per scavalcarli basta alzare una gamba.
Fatta la legge trovato l’inganno, recita il proverbio.
Abbiamo leggi che dicono tutto e il suo contrario, sempre in favore di chi ha il coltello dalla parte del manico, impossibili da comprendere senza l’esperto di turno.
Ricordo ancora quando mio padre chiese al suo commercialista, nel dubbio, di interpretarle in favore dello stato, anche a costo di pagare di più.
Non per niente, non avendo santi in paradiso, fuggì sempre i tribunali come la peste perché sapeva di cosa è capace il sistema.
Potrei andare avanti, ma un ricordo mi ferma.
Un amico una volta mi disse: “Noi rubiamo mille lire perché abbiamo a che fare con poco, e ci giustifichiamo perché i soldi non bastano mai, ma se maneggiassimo miliardi ruberemmo quelli.”
Che significa?
Che ci siamo fatti fregare ancora una volta: ci hanno fatto credere di essere migliori di chi ci governa.
E a noi è piaciuto tanto crederci, puntare il dito sentendoci puliti, incolpevoli.
Certo, mio padre era una persona onesta, io lo so per certo, ma resta il fatto che siamo tutti più disposti a guardare la pagliuzza nell’occhio dell’altro che la trave nel nostro, e lui è stato il primo a insegnarmelo.
Mi spiego meglio con qualche esempio.

Mia madre, all’epoca frequentavo la scuola superiore in un’altra città raggiungendola in autobus, andò ad informarsi al comune sulle condizioni necessarie per ottenere uno sconto sull’abbonamento.
Quando si accorse che non ne aveva diritto e spiegò all’impiegato che il nostro reddito era molto alto, questi le rispose: “Non si preoccupi signora, tanto la richiesta la fanno tutti!” (dichiarando il falso).

Una giovane amica infermiera, me lo raccontava anni fa, appena entrata in ospedale, parlando del più e del meno disse ad una collega anziana che alla fine del turno sarebbe dovuta passare in farmacia ad acquistare un medicinale.
“C’è l’armadietto dell’ospedale, perché vai a sprecare dei soldi?” le confidò l’altra.
Già, proprio quello pieno di farmaci pagati con le nostre tasse.

Mesi fa mi capitò, nell’ambito dell’inchiesta su di un politico di cui parlarono i giornali, di ascoltare la testimonianza di una signora che spiegava come, anni prima, si fosse candidato a sindaco nel suo paese offrendo una cena ai suoi concittadini.
La signora, in quell’occasione, fece notare a chi era di fianco a lei che sotto il piatto era stata messa una banconota da cento euro. “Che ti fa schifo? Prendila!” fu il commento dell’uomo.
Avrebbero dovuto immaginare che il futuro sindaco li avrebbe recuperati con gli interessi.

Negli ultimi trent’anni, nella città in cui vivo, la popolazione è cresciuta del 25%, il personale del comune di circa il 100%.
Tenendo presente che gli ultimi decenni hanno visto l’avvento dei computer negli uffici, viene da pensare che, forse, possa esserci stata qualche assunzione “sponsorizzata”.
Dove lavoro io, invece, negli ultimi 25 anni il numero degli operai è quasi raddoppiato, ma il personale in amministrazione è rimasto lo stesso; hanno solo cambiato i computer.

Non voglio neanche parlare, poi, di tutte quelle occasioni in cui pieghiamo la legge ai nostri comodi, come quando parcheggiamo dove non si può, ma ci fa comodo per non fare qualche metro in più o lasciamo l’immondizia fuori di casa giorni prima di quello stabilito per il ritiro.

Dove voglio arrivare?
È presto detto: questo paese, mi piange il cuore a dirlo, ha il governo che si merita, quello che si è costruito pezzo dopo pezzo, con le sue mani.
Sì, l’ho già detto, c’è gente onesta, come ci sono parlamentari che fanno coscienziosamente il loro lavoro, ma i nostri politici non vengono da Marte.
Questo paese ce lo siamo mangiato un pezzetto ciascuno, una fotocopia alla volta, un medicinale dopo l’altro, abbonamento fasullo dopo abbonamento fasullo.
Se i nostri comuni hanno impiegati di troppo non è solo perché ci sono politici disonesti, ma anche perché decine di migliaia di comuni cittadini, gente come me e come te, “mafiano” per entrarci senza averne titolo, come mi spiegava un amico bidello vincitore di un concorso, che si era visto scavalcare dal secondo in graduatoria, pesantemente ammanicato a livello politico.
Che fare allora?

“Cambiare il mondo è quasi impossibile
Si può cambiare solo se stessi
Sembra poco ma se ci riuscissi
Faresti la rivoluzione”

Dice una canzone di un famoso cantante italiano.
Sottoscrivo ogni parola, anche se io preferisco dirlo così: a Madre Teresa fu richiesto una volta di dire quale fosse, secondo lei, la prima cosa da cambiare nella Chiesa.
La risposta al suo interlocutore fu: “Lei ed io!”
Altrimenti, urlare in faccia ai politici sarà perfettamente inutile.