Odio essere chiamato omofobo: sono solo un dissidente.

Famiglia-4
Odio essere chiamato omofobo, soprattutto perché so di non esserlo.
Non voglio mettere chi è omosessuale in galera, non voglio che sia dileggiato, offeso né tantomeno picchiato, non desidero che perda il lavoro o che gli venga ritirata la patente; non gli farei pagare più tasse, non lo vorrei vedere obbligato ad andare in giro con strane coccarde sui vestiti, né gli imporrei di dichiarare sui documenti i suoi gusti in materia; ma soprattutto, aldilà di tutto, non ne ho mai, in nessun posto, in nessuna occasione, avuto una qualche stupida, immotivata, ridicola paura del cavolo.
Dirò di più: fui per un periodo all’estero tanti anni fa e il messicano con cui lavoravo e dividevo la stanza era omosessuale.
Me ne accorsi subito anche se lui non aveva detto nulla agli altri colleghi; a me lo confessò solo dopo alcuni mesi: era un tipo intelligente, sveglio, educatissimo e non mi diede problemi, né io temetti mai di prendermi qualche infezione o peggio.

E allora perché devo sentirmi chiamare “omofobo”?
Perché gente che dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) avere una certa cultura come il presidente del senato Grasso, in occasione della giornata mondiale contro l’omofobia e la transfobia, dopo avermi definito con un termine che non mi definisce affatto, che è come chiamare un omosessuale “frocio”, deve anche offendermi dicendo che sono un “cittadino meno uguale degli altri”?
Attenzione presidente, perché solo pochi decenni fa in Germania, si cominciò così, col dire che alcuni erano meno uguali, meno cittadini degli altri, poi che non lo erano affatto.
Si finì col trascinare milioni di persone in una voragine senza fondo creata dalla presunta superiorità di alcuni.
Oggi, chi ha già preso in mano la pala e scava una nuova fossa si dice “politicamente corretto”, “multiculturale”, “aperto”, “cittadino del mondo”, “paladino dei diritti per tutti”, non accorgendosi di stare incappando paradossalmente negli stessi errori, nello stesso odio contro cui gli omosessuali hanno combattuto e da cui dicono (quanto sia vero lo vedremo nel prossimo futuro) di voler liberare la società.
È significativo il continuo etichettare come omofobi, come capaci unicamente di temere e odiare, tutti quelli che non solo non tacciono di fronte a questa neonata (non è mai esistita nella storia, non in questi termini) visione della sessualità e del mondo, o che non la favoriscono, ma che hanno addirittura l’ardire di contrastarla, come è loro diritto, poco conta se lo fanno senza ricorrere alla violenza.
È strano, ma neanche tanto, che in una società che si vanta di difendere i diritti di tutti, di volere per tutti gli stessi diritti, che si riempie la bocca condannando i “secoli bui” del nostro passato senza neanche sapere di che parla, si proceda dando per scontata la liceità di una nuova pratica inquisitoriale, che vuole impossibilitato a esprimersi chiunque muova critiche alla dottrina ufficiale.
Mi riferisco a leggi come quelle antinegazioniste, per esempio, che impediscono di manifestare la semplice opinione che lo sterminio degli ebrei non sia mai avvenuto.
Voglio che sia chiaro, per evitare fraintendimenti, che considero fuori dal mondo uno che nega l’olocausto; ma proprio come rivendico il diritto di potergli dire che sbaglia, allo stesso modo ritengo sacrosanto consentirgli di fare altrettanto con chi vuole e riguardo gli argomenti che vuole.
Nella realtà, per andare sul concreto, oggi si punisce il negazionista solo se trattasi di individuo isolato.
La Turchia, ad esempio, continua a negare il genocidio degli Armeni, ma gli stati che si ergono a difensori della verità fanno finta di niente.
Una politica estera del tipo: forti coi deboli, deboli coi forti.

Pensiamoci, coloro che oggi si scagliano contro chi fa dichiarazioni politicamente scorrette, invocando sanzioni e leggi punitive, magari sono gli stessi che criticano da sempre la Chiesa per l’ index librorum prohibitorum e i processi agli eretici.
Con che faccia, visto che hanno già da tempo cominciato a stabilire per legge un elenco delle verità incontestabili, come accade già in alcuni paesi europei, pena la detenzione anche fino a dieci anni?
Il giochino dell’io-comando-quindi-ho-la-versione-ufficiale-della-verità-quindi-tutti-zitti è pericoloso, molto pericoloso.
La storia ci insegna, ma sembra avere degli alunni alquanto scalcagnati, che le maggioranze cambiano, e di conseguenza le verità cambiano (siamo in democrazia) e che i perseguitati possono diventare persecutori e viceversa.
Non si può per legge chiudere la bocca alle persone o costringerle a pensare qualcosa di stabilito a tavolino.
Non ci sono riuscite le religioni, con mezzi diffusi e capillari, con interi secoli a disposizione e le istituzioni dalla loro parte, a instillare nelle persone compassione e amore; non sono riuscite a imporre ai popoli nuove visioni del mondo e del futuro neanche le ideologie che hanno fatto leva sulla violenza ed il terrore della repressione, come quelle comunista e nazi-fascista.
Con quale arroganza, allora, si può pensare di far ingurgitare alla gente una qualunque concezione del mondo senza protestare, pena la galera, credendo che questa sia la soluzione del problema?
È ridicolo, ed anche preoccupante, che proprio quelle forze politiche antiproibizioniste riguardo la droga, siano diventate proibizioniste riguardo le opinioni.
Dall’inizio dell’anno centinaia di persone sono state rapite, violentate, sgozzate, sparate, bruciate vive solo e unicamente perché cristiane (provate a cercare Boko Haram su google) in diversi paesi africani e mediorientali; in alcuni casi sono stati proclamati dei califfati islamici nei quali i non musulmani non devono mancare di pagare la “jizah”, una tassa speciale per gli infedeli, pena la perdita della libertà religiosa e la conversione forzata.
In Libia alcuni gruppi integralisti offrono diverse migliaia di euro per ogni “soffiata” che gli farà cadere tra le braccia un cristiano, segno che hanno fior di finanziatori alle spalle.
La cosa che fa pensare non è tanto il fatto che notizie come questa siano riportate da un giornale come Tempi, apertamente di ispirazione cattolica, ma che non se ne trovino tracce, se non sporadicamente, nei media in generale.
A leggere i giornali e a guardare le tv occidentali sembra che l’emergenza sia la terribile condizione dei gay del pianeta, che soffrono perché in molti paesi non viene loro riconosciuto il diritto di contrarre matrimonio come per gli eterosessuali.
Eh già! Questa, per tanti personaggi stimati e influenti dei nostri giorni, è l’emergenza, la questione delle questioni, la battaglia per la civiltà, in estinzione aggiungerei, vista la sterilità teorica e fisica di cui soffre l’argomento.

Se fossi un alieno che guarda le Terra dallo spazio, mi sentirei come chi sta osservando una massaia durante un terremoto del 10° grado della scala Richter mentre saltella di qua e di là preoccupata di risistemare i soprammobili, invece di correre fuori per non restare sepolta dalle macerie.
Ma tant’è.
In occidente le battaglie più feroci vengono combattute per garantire alle donne il diritto di far fuori i propri figli prima che nascano o, quando nascono, per mettergli in testa  che ciò che la natura gli ha messo tra le gambe non vuol dire assolutamente nulla.
Come in Svezia, ideatrice di quella perla della strisciante (ormai neanche tanto) dittatura dell’egualitarismo ad ogni costo che è l’asilo “egalia”,
in cui maschi e femmine giocano con giocattoli uguali, i libri sono contati per averne in egual numero che trattano storie maschili e femminili, dopo aver “messo all’indice” Cenerentola e Biancaneve, e ci si rivolge gli uni alle altre con un pronome neutro, che forse un giorno saremo costretti ad usare anche noi, dopo averlo introdotto nella lingua italiana sdoganandolo come neologismo molto “cool”, com’è accaduto per la festa di halloween.
Tutto per combattere la violenza di una cultura dominante che giustifica l’umiliazione e la ghettizzazione della minoranza, del diverso, si dice.
Eppure esistono già delle leggi che puniscono chi insulta o, peggio, chi aggredisce fisicamente una persona.
Allora perché farne di nuove?
Non si sottolinea forse, implicitamente, proprio quella diversità che invece si vuole negare?
Non si ricorre forse allo spauracchio legale, come per il negazionismo e l’omofobia, per zittire punti di vista scomodi perché diversi, proprio quando l’opera di indottrinamento fallisce?
Magari con l’appoggio di libri scolastici che, alla faccia delle diverse convinzioni dei genitori (in questo caso il rispetto tanto sbandierato della diversità è pari a zero), tentano di plasmare le menti dei bambini con ridicole storie su orsetti rosa e altri strani esserini rifiutati da comunità di animaletti intolleranti e conservatori.

Ragionando così ogni minoranza potrebbe ritenersi discriminata, ogni categoria potrebbe richiedere una protezione su misura, imporre una serie di libri di testo appropriata.
Mettiamoci in testa una cosa: a qualcuno forse dispiacerà, ma i ragazzi non vengono pestati solo perché sono gay.
Purtroppo, se non lo sono, anche se finiscono in ospedale, non fanno notizia.
E per loro cosa faremo? Un’altra legge ancora?
Magari un titolo del codice penale dedicato interamente al bullismo: dalla consegna forzata della merenda ai più anziani, sull’autobus per andare a scuola, agli insulti subiti in silenzio; dalla sopportazione di scherzi idioti al furto di effetti personali.

Continuando di questo passo non ne usciremo più.
Spero di sbagliarmi, ma ho paura che lo stato metterà sempre più le mani nei rapporti tra le persone, infarcendoci la vita di divieti che ci “permetteranno” un miglior rapporto con culture diverse, religioni diverse, col diverso in genere, impedendoci e imponendoci di tutto con la scusa di evitare così ogni possibile discriminazione, ogni involontaria offesa all’altrui sensibilità politica, religiosa, ideologica, di genere, animalista e chi più ne ha più ne metta.
Onestamente, non mi sento razzista perché, se anche esistono modi diversi di fare coppia, quando si parla di famiglia, a me ne viene in mente una sola: l’unica che permette agli esseri umani di esistere da centinaia di secoli: quella formata da un maschio e una femmina.